Rassegna stampa etica

“Inclusione veicolare”: ovvero come discriminare i vostri figli #disabili

disabile discriminato

Il nuovo decreto in discussione in parlamento che porta il numero 378 è l’epilogo della parabola discendente e statalista della scuola. Pagano i disabili

di Paul Freeman

Il nuovo decreto sul sostegno in discussione e che porta il numero 378 (presente online qui http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0378.pdf&leg=XVII#pagemode=none ) rischia di cambiare totalmente l’assetto della rete attorno al disabile. Di fatto dando alla scuola e agli step burocratici predisposti, un “potere”, una discrezionalità ed una importanza che non hanno (o non dovrebbero avere) come soggetto educativo e de-potenziando quindi l’art. 30 della Costituzione. Cambierà inoltre anche la funzione dell’Azienda Sanitaria che verrà coinvolta solo nelle fasi iniziali di certificazione e redazione della valutazione diagnostico-funzionale del disabile e che non aiuterà di fatto il processo dell’inclusione. Processo che, ricordiamo, non riguarda solo la scuola ma anche il domiciliare e tutto l’extra-scolastico.

Cosa c’era e cosa cambia

Secondo la lettera e l’anima della legge 104 all’art 12 il PEI è redatto con la collaborazione dei genitori.

Questo l’art 12 al comma 5 dell’attuale legge 104:

“All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata.”

Abbiamo parlato di anima della legge 104. Certo, facendo perno sull’art 3 della Costituzione e su alcuni principi previi ed universali, l’art. 30 riconosce (riconosce, non fonda) un dovere-diritto dei genitori verso il proprio figlio. La Potestà Genitoriale, ora definita "responsabilità genitoriale", non è solo una descrizione giuridica ma un humus metafisico necessario che fonda sia l’art. 29 e 30 della Costituzione, sia il quid del bene ineludibile che è la persona. Garantito e difeso in modo particolare dall’art. 3 della Costituzione.

Pertanto la collaborazione dei genitori è determinante ai fini del benessere del disabile. Non è una voce fra le tante ma spesso (a parte rari casi facilmente rettificabili da diagnosi funzionali incrociate e pareri qualificati) l’unica vera ancora di salvezza per il disabile. Quello che vogliamo dire, in parole semplici, è che se non ci pensa la famiglia, chi si prende realmente cura del disabile? E se lo Stato non protegge con cura e rispetto questo nucleo sistemico di relazione “disabile-famiglia” come pensa di fare il bene sociale e di proteggere, cautelare, fornire sussidio al disabile? Se non garantisce questo nucleo sistemico, relazionale, affettivo, come si potrà avere inclusione ed integrazione? Se lo Stato non lo fa con una attenzione specifica e fondante, di fatto, discrimina cioè non integra e non include. Pessime, distratte ed inesistenti politiche familiari ci portano a questo punto. Il degrado è inevitabile se non si difende la famiglia e nello specifico la famiglia che ha la gioia e l’impegno della disabilità.

Di fatto in questi anni, lo abbiamo detto più volte, la rete attorno al disabile ha fatto acqua ed il pensiero delle istituzioni non è stato quello di fornire il meglio al disabile ma di ragionare in base a risorse economiche. Cioè di ragionare in base al “se conviene”. L’ottimizzazione delle risorse se avviene per un bene è ottima ma se avviene per falsificare ciò di cui necessita il disabile è omicidio quotidiano. E questo avviene sovente; ma in maniera soft, con lenta discesa. Un atteggiamento legalizzato e coperto da parole patinate come “inclusione” ed “integrazione”.

Questo nuovo decreto legge, accentua ancora di più la malattia statalista e burocratica che ha il nostro paese. Carica la scuola di una responsabilità unica nei confronti del disabile trasformandola da “Scuola Pubblica Statale”, a tutti gli effetti, in “Scuola di Stato”.

Non è pertanto un ritorno al caos degli anni ’80 con “l’inserimento selvaggio” di quegli anni ma uno switch patinato, da parole di ottima levatura, come, ripetiamo: “inclusione”, “integrazione”, “sostegno”, “qualità di servizio”, alla Scuola degli anni ’30 – ’40 in Italia e Germania. E nelle dittature stataliste di ogni colore.  Questo inevitabilmente porterà ad abbassare il livello di attenzione autentica al disabile. Spoglierà e de-potenzierà l’art. 30 della Costituzione, metterà al margine la famiglia. Invece di potenziare e rendere più attuata la legge 104, si è ben pensato di stravolgere questa legge. Moltiplicare la burocrazia, dare alla scuola un ruolo che non ha sul Piano Educativo individualizzato, mettere a margine la famiglia.

Ma un dato certo sarà che diminuiranno i ricorsi delle famiglie. Lo Stato risparmierà.

Capite, con la patina della parola “inclusione” e “sostegno” si avrà pessimo servizio per i disabili, la famiglia ridotta a soggetto ininfluente, la scuola ipercaricata e quindi incapace di fornire servizi di qualità adeguati, la scuola trasformata in “Scuola di Stato”, l’azienda sanitaria ancora di più piegata alle risorse.

Di fatto, il PEI, ad esempio, dovrebbe essere svolto più volte durante l’anno scolastico con la presenza di tutti gli attori indicati nella legge 104. E il governo che fa?

Invece di dire e dirsi “usiamo meglio le risorse economiche, che ci sono e strabordano, e che sono, la maggior parte delle volte, usate male” dice invece “cambiamo la legge 104!”.

Era una legge che esigeva troppo. Che puntava troppo in alto. Che puntava ad un progetto di vita autentico. Mica lo stato può girare attorno ai disabili! Non miglioriamola ma vendiamo dietro una patinatura di miglioramento, chiamata “Buona Scuola”, un azzeramento della qualità dei servizi e soprattutto otteniamo un risparmio immediato di risorse.

Altrimenti, ed è qui il punto, dovremmo ri-significare e cambiare i sistemi economici del nostro paese. Dovremmo diventare virtuosi, sussidiari, solidali e far girare veramente una buona economia per tutti. Per la famiglia, per il disabile.

Meglio il tutto e subito. De-potenziamo la famiglia, aumentiamo gli step burocratici e, con la scusa del sostegno e dell’inclusione, evitiamo di dare troppo a chi è disabile. Chi mai si accorgerà dell’ “inserimento selvaggio”? Vendiamo bene la parola “qualità” così possiamo abbassare il consumo di risorse e chi mai se ne accorgerà? Forse che questi disabili hanno una voce? L’unica loro voce è la famiglia. Zittiamola! Una sorta di via condotto per una eutanasia sociale, patinata. E’ l’apoteosi silente della “cultura dello scarto” più volte denunciata dal Santo Padre.

Peggioramenti e contraddizioni

All’art. 8 della bozza di questo nuovo decreto si abolisce il GLHO, Il Gruppo di Lavoro per Handicap, Operativo.

Sì il GLHO viene abolito. La forza del PEI, il GLHO, il bene organico e multidisciplinare a cui spettava l’impegno di elaborare “congiuntamente” il PEI, viene stravolta. Il decreto stabilisce che tanto la famiglia quanto gli operatori socio-sanitari prendano parte unicamente alla sua redazione, lasciando l’approvazione ai soli docenti. Sarà, poi, un organo sovra scolastico chiamato GIT, Gruppo di Inclusione Territoriale a decidere il bello e soprattutto il cattivo tempo del disabile. Questo si farà, ci potete scommettere con tabelle e tabelline e non con una attenzione reale ed unica al disabile. Dunque l’articolo 15 della legge 104/92, è abrogato, e sostituito dall’art. 8 del Decreto. Il cambiamento non è solo peggiorativo ma è contro l’anima del pensiero inclusivo, integrativo, solidale rilevato anche dal fiume delle sentenze finora prodotte.

Ecco cosa dice il primo comma dell’art. 11 dello schema di questo nuovo decreto:

Articolo 11 (Il Piano Educativo Individualizzato)

“Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) di cui all'articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, come modificato dal presente decreto, è elaborato ed approvato dai docenti contitolari o dall'intero consiglio di classe, tenuto conto della certificazione e della valutazione diagnostico-funzionale e del progetto individuale. La redazione avviene all'inizio dell'anno scolastico con la collaborazione dei genitori o del soggetto con responsabilità genitoriale, delle risorse professionali specifiche assegnate alla classe nonché degli operatori socio sanitari.”

Da notare:

è elaborato ed approvato dai docenti..”. I responsabili ultimi del disabile diventano i docenti ed il consiglio di classe; e la famiglia? Ed il fiume di sentenze di questi anni che proteggono il disabile e la famiglia che ne ha la responsabilità genitoriale?

“gli operatori socio-sanitari” chi sono? Sappiamo bene che senza l’ombra di Neuropsichiatri e veri e propri specialisti il PEI diventa il risultato di una superficialità immensa. Certo c’è chi può avere fortuna. Un caso su mille; forse.

La personalizzazione del PEI era ed è il punto fondamentale della 104 e del suo pensiero redazionale. Il fiore all’occhiello del nostro paese e il sostegno di innumerevoli sentenze a vantaggio del disabile. Cioè il PEI doveva essere il frutto del lavoro organico di specialisti, insegnanti e genitori per il bene del disabile per il durante noi al fine di continuare e sfociare in un buon dopo di noi. Insomma lo Stato riconosceva il bene che il disabile è in sé assieme alla sua famiglia, lo e la proteggeva, la custodiva, la sosteneva e si rendeva presente quando la famiglia per motivi di età veniva a mancare. Magari proponendo dei progetti alternativi come l’ultima legge sul “Dopo di Noi”.

Tutto questo processo di rispetto autentico del disabile viene a decadere e quello che conta alla fine, con la patina della “qualità”, dell’inclusione” e dell’ “Integrazione” è il risparmio (ma neanche tanto, lo vedremo) delle risorse.

Sì neanche tanto.

Perché il vero risparmio lo Stato lo avrebbe sostenendo la famiglia del disabile e la qualità dei servizi della rete attorno al disabile, de-potenziando la scuola e riportandola al suo vero ruolo di collaboratrice all’indirizzo educativo e formativo che la famiglia dà ai propri figli (vd. Art. 30). Questo aumenterebbe la virtuosità e farebbe girare, anche se non immediatamente, positivamente, l’economia dello stato. In maniera stabile fruttuosa e virtuosa. Creerebbe un circolo virtuoso, di alto profilo civico e con una immensa ricaduta positiva sul bene comune. Certo questo non segue la logica di certe “false economie”.

Infatti si preferisce il risparmio immediato e convulsivo vendendo ideologia.

Affidare buona parte della gestione alla scuola allontana sempre di più l’obiettivo della qualità del servizio. Allontana sempre di più la sana autodeterminazione a cui è chiamato il disabile per portare il suo unicum sociale, a beneficio di tutti.

C’è una contraddizione insanabile. La Scuola è un aiuto educativo alla scelta educativa della famiglia o è un’azienda? I generi letterari si mischiano e inevitabilmente le “logiche aziendali” penalizzano e penalizzeranno sia gli aspetti educativi, sia gli aspetti inclusivi, sia l’alleanza educativa con la famiglia. Vediamo zone oscure ipotetiche, lontane? No, è la realtà della scuola di tutti i giorni che, accanto a momenti e zone virtuose, ad isole reali di “buona scuola”, quasi uniche, produce delle vere e proprie falli valoriali. La Scuola ha camminato a sé stante in questi decenni e non può più essere foriera di inclusione ed integrazione se non avviene una riforma che non è legata alla visione aziendale ed alle risorse ma ai valori che la fondano e la orientano. Costituzionali.

Altre contraddizioni. L’art. 2 comma 2 dello stesso decreto di riforma dice:

Per gli alunni e gli studenti di cui al comma 1 [disabilità L. 104] l’inclusione scolastica è attuata attraverso la definizione e la condivisione del Piano Educativo Individualizzato di cui all'articolo 11 parte integrante del progetto individuale di cui all'articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, come modificato dal presente decreto.

Ma non si capisce di quale condivisione si parla se secondo l’art. 11 il PEI è redatto solo dalla scuola mettendo a latere, come dicevamo il “potere contrattuale” del disabile che è la sua famiglia.

L’abolizione del GLHO ha ricadute pesanti anche sulla definizione delle risorse per l’inclusione. Infatti nel PEI si descriveva con precisione non solo il sostegno ma l’intervento educativo sia scolastico che domiciliare. Sia interventi extra-scolastici. Che fine fanno questi interventi scomparendo il GLHO?

Come fa il GIT a decidere del sostegno se non ha reali competenze?

Ma la beffa vera è quella che tale bozza di decreto dica al suo incipit:

visto l’art. 30 della Costituzione.

Ecco, appunto, visto, scavalcato, negato e facciamo come ci pare.

Con la Scuola di Stato risparmiamo subito, facciamo risparmiare le istituzioni. La famiglia non conta più nulla.

Ecco come tornare alla Scuola di Stato, al totalitarismo degli anni ’30 e ’40, con la patina vanitosa dell’inclusione.

Si dice inclusione ma è risparmio di risorse. Non per il bene comune ma per il bene di pochi e per l’incapacità di amministrare di chi ci governa.

La giornata della memoria d’ora in poi non ricorderà solo i nostri fratelli ebrei ma l’inizio dell’anno scolastico per tante famiglie che subiscono il marchio sociale di avere dei figli disabili, impresso a fuoco da legislatori incompetenti e cattive leggi.

Con quale spirito i genitori affronteranno un “dopo di noi”, quando loro verranno a mancare, se la comunità produce sin da subito simili storture nella sostanza e nel diritto a danno dei propri figli? Nessuna garanzia, nessuna speranza, solo la consegna dei propri figli disabili in mano all’incompetenza, ai meccanismi sfiancanti e alla logica delle risorse economiche.

Le associazioni, giustamente, sono tutte in rivolta e stanno elaborando emendamenti. Ma occorre chiedersi seriamente se il documento è emendabile.

C’è infatti il sospetto fondato, e purtroppo taciuto, anche dagli addetti ai lavori delle associazioni, che tale proposta di legge non sia stata fatta solo in maniera raffazzonata, superficiale ed incompetente. Che non sia solo alla base di una logica di trattativa in cui si chiede 100 per ottenere 50; cioè il beneamato risparmio con la patina dell’inclusione.

C’è il sospetto, che nessuno ha il coraggio di dire con chiarezza, che tale documento è l’epilogo, la convergenza inevitabile, di ciò che la scuola è ed è diventata, una monade che gestisce sé stessa senza più riferimenti di autentici principi, di valore e senza più alcuna reale base metafisica. E quindi senza reale e concreta incidenza sulla vocazione umana e la maturità degli alunni.

Una scuola maleducata, ineducata e talvolta, ineducabile.

Terreno fertile per ogni ideologia e moda che si affaccia sul delirio dell’umano.

Speriamo di sbagliarci, di avere dato pennellate a volte esagerate; il bene se lo desideriamo, e ci facciamo evangelica violenza, è dietro l’angolo, ma non è perseguibile senza sacrifici, dedizione e chiarezza nei principi che fanno il bello dell’umano. Ci ascoltino i cattolici in politica e tutti gli uomini e le donne di buona volontà in politica.

Finché le istituzioni non valorizzeranno a pieno la persona con disabilità e la sua famiglia, e questa loro voce, non ci sarà civiltà; tantomeno educazione.

© http://www.lacrocequotidiano.it  - 3 febbraio 2016, San Simeone il vecchio

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