Rassegna stampa etica

Il #figlio, da soggetto a oggetto

lema sabactaniDalla pretesa di adozione dei single e delle coppie gay, all’attuale incontrollato sviluppo delle tecniche di fecondazione artifciale, tutto ciò impone interrogativi seri sull’identità stessa delle fgure parentali e sul senso del generare una vita umana. Ne tratta in termini interessanti e profondi un nuovo saggio pubblicato sulla rivista delle famiglie adottive e affdataria italiane “Lemà sabactàni”

di Giuseppe Brienza

Cosa signifca diventare padre e ma dre? Come si sta trasformando il desiderio di un fglio nella società - “tecno-liquida” di oggi? Don Matteo Martino, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano), ha provato a fare il punto della situazione e, bandendo fantasie e ubriacature ideologie (spesso interessate), risponde a queste domande nel saggio appena pubblicato sull’ultimo numero della rivista delle famiglie adottive e afdatarie italiane (edita dalle associazioni “Aibi”, “Amici dei Bambini” e “La Pietra scartata”) “Lemà sabactàni? Contributi per una cultura dell’adozione”. Un titolo quanto mai azzeccato per il buio che sta avvolgendo tanti bimbi e bimbe di oggi, abbandonati o “orfani di genitori vivi”, che alimentano il grido silenzioso che si fa eco di quello del Cristo: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che signifca: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Gesù sul Getsemani si rivolge al Padre gridando le prime parole del salmo 22, con una parola di sofferenza e desolazione ma che è, al tempo stesso, anche il grido della completa «fducia della vittoria divina» e della «certezza della gloria» (Benedetto XVI, Catechesi, 14 settembre 2011). Come spiegato anche dall’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, nella meditazione del Venerdì santo della scorsa Pasqua al Colosseo, «il grido di Gesù è il grido di ogni crocifsso della storia, dell’abbandonato e dell’umiliato, del martire e del profeta, di chi è calunniato e ingiustamente condannato, di chi è in esilio o in carcere» (Card. Gualtiero Bassetti, Dio è misericordia, in “L’Osservatore Romano”, 21-22 marzo 2016, p. 5). Ma chi è più “esiliato” oggi, se non il fglio concepito meccanicamente, che non conosce la vera identità dei suoi genitori ed è costretto a crescere senza il cuore di una mamma? Ritornando ora al contributo citato all’inizio, di Matteo Martino, già dal titolo “Padre e madre. Pensare la relazione genitori e fgli nel nostro tempo” (in “Lemà sabactàni?”, anno X, n. 15/2017, pp. 35-48), comprendiamo come le ricadute sociali e psicologiche del ricorso alle tecniche di fecondazione artifciale eterologa sono ormai tali da ingenerare cambiamenti epocali, in grado di intaccare profondamente l’esperienza del fare coppia e famiglia oggi. Per questo Don Martino parla di una vera e propria «metamorfosi della concezione del fglio». In epoca di opinionismo diffuso e squalifcato, si tratta di un’analisi a mio avviso molto importante, tanto più per il fatto di essere ospitata in una rivista che, giunta al decimo anno editoriale, è diretta dal prof. Don Maurizio Chiodi, sacerdote della diocesi di Bergamo e docente di teologia morale presso la facoltà teologica di Milano. Nel capitolo del suo saggio dedicato alla trasformazione della famiglia Don Matteo Martino rileva che si sono «moltiplicate le “visioni del mondo” e diversifcati gli “stili di vita” a tal punto che realizzare il proprio potenziale singolare sia diventato un comandamento», «il nuovo imperativo dell’individualismo». Crollo dei matrimoni, fragilità del rapporto coniugale, crescita delle convivenze e differenziazione delle sue forme sono i segni manifesti della drammatica mutazione civile in atto. Come rileva la nota di presentazione dell’Ai.Bi., una delle maggiori associazioni italiane che si occupano di adozioni, il cui presidente è Marco Griffini fra i relatori dell’ultimo Family Day al Circo Massimo, nel dibattito pubblico e nella mentalità diffusa, il termine “famiglia” trova ormai spazio «solo nella sua forma plurale. Le indagini socio-demografche elencano: famiglia estesa (più nuclei coabitanti sotto lo stesso tetto); famiglia allargata (con più di due generazioni dello stesso nucleo); famiglia nucleare normo-costituita (coniugi con fgli); famiglia di genitori soli; coppia di fatto; famiglia ricostituita (divorziati risposati); famiglia unipersonale (single); convivenze omosessuali» (Adozione per le coppie gay? Possono diventare un padre e una madre per un bambino abbandonato?, in “News Ai. Bi.”, 23 febbraio 2017 - www.aibi.it). Il fondatore dell’Ai.Bi., che prima di essere è un’organizzazione non governativa è costituita da un movimento di famiglie adottive e afdatarie. Don Martino nel suo saggio evidenzia come la discontinuità del presente si palesa non solo nella “pluralizzazione” dei modelli familiari, ma anche e soprattutto nella marginalizzazione della comunità familiare rispetto alla società. «Alla trasformazione epocale delle modalità di diventare genitori corrisponde il cambiamento di mentalità nei confronti del fglio», aggiunge, con il conseguente «isolamento sociale e contrazione affettiva [come] due fattori che determinano la precarietà della famiglia contemporanea». Nel secondo capitolo Martino propone l’analisi del nuovo modo di pensare al fglio partendo da quanto segnalato dal flosofo francese Marcel Gauchet, professore emerito all’Ecole des hautes études en sciences sociales (già “Directeur d’études”) e capo redattore della prestigiosa rivista “Le Débat” edita da Gallimard (cfr. “Il fglio del desiderio. Una rivoluzione antropologica”, Milano 2010). Guchet illustra infatti nei suoi scritti i contorni di una vera rivoluzione circa il modo di concepire il senso del generare: «il fglio non risulta più atteso bensì è frutto di un preciso desiderio. L’individualismo degli stili di vita non solo ha intaccato l’esperienza dell’amore coniugale e i vissuti familiari, ma ha trasformato la stessa concezione del fglio: non più un dono da accogliere, ma oggetto del desiderio del genitore per il suo rispecchiamento». Il dilagare di una mentalità tecnicistica ha contribuito a insediare questa nuova “concezione” del fglio riducendolo a mero “prodotto” per soddisfare il bisogno di paternità/maternità. «Il bambino è diventato un fglio del desiderio, del desiderio di un fglio. Era un dono della natura o il frutto della vita attraverso di noi, d’ora in poi non potrà che essere il risultato di una volontà espressa, di una programmazione, di un progetto». Seguendo il percorso proposto da Gauchet sembra chiaro che la famiglia non costituisca più un quadro obbligatorio per la generazione e, afferma quindi Martino, «non è più la famiglia che fa il fglio ma è il fglio che fa la famiglia; tale capovolgimento riflette la trasformazione radicale dell’esperienza familiare». È nel quadro della de-istituzionalizzazione della famiglia che va dunque colto il processo di “privatizzazione della generazione”, conclude la rivista “Lemà sabactàni?”: «generare un fglio non è più una questione che riguarda la collettività. Muta l’esperienza generativa e le coordinate antropologiche del legame padre-madre-fglio vengono sovvertite. Il desiderio più naturale del mondo, quello del fglio – così si diceva solitamente – è realizzato mediante una divisione del processo: padre-seme, madre-ovulo, madre in aftto, madre e padre sociali». Sullo sfondo di tale stravolgimento il bambino non è più compreso come frutto del legame d’amore, della comunione e della promessa di un uomo e di una donna, bensì come risultato di un meccanico atto di riproduzione. Mettendoci quindi una buona volta dal punto di vista del nascituro, Don Martino chiede provocatoriamente: «che cosa signifca essere fglio del desiderio e dell’intervento della tecnica?». È davvero un’identità libera quella del “fglio del desiderio”? E, quest’ultimo interrogativo ce lo poniamo noi, anche dal punto di vista politico-legislativo oltre che morale e psicologico. Da anni il presidente dell’Associazione Amici dei Bambini (AiBi) Marco Grifni sta denunciando il preoccupante crollo delle dichiarazioni di disponibilità all’adozione: «Sempre meno coppie sono pronte ad accogliere un bambino abbandonato. Anche quelle che ottengono l’idoneità, molto spesso, non danno seguito all’adozione e non conferiscono il mandato all’ente autorizzato. Abbiamo liste su liste inviate da Paesi stranieri di bambini adottabili ma lontani dal modello “ideale” di bambino piccolo e sano. Sono grandicelli, malati o gruppi di fratelli». Se questo è un problema, la mentalità eugenetica dei richiedenti “fgli del desiderio” è comparativamente una vera e propria tragedia per le società occidentali. Le quali, invece, fanno fnta di nulla, eludendo l’interrogativo e spacciando tutto come conquista “diritti civili”. Ma con le parole di chi se ne intende, cioè quel Grifni che si spende da quasi quarant’anni per dare “una famiglia a un bambino”, ribadiamo che solo una donna e un uomo sposati rimangono «la prima e migliore risorsa per un bambino». L’ordinamento italiano non si azzardi, come hanno fatto altri, a privilegiare questa cultura “virtuale”, basata su idee e desideri “di parte”, senza considerare il dato psicologico e sociale, secondo il quale i bambini hanno bisogno di due genitori e la famiglia non è solo “prendersi cura” di qualcuno, ma “generarlo alla vita”. Basta con l’esclusivismo delle logiche “assistenziali” che, per giustifcare l’adozione o l’acquisto di un bambino con l’utero in aftto da parte di single o coppie gay, la buttano solo sulla opportunità che, allevare un fglio proveniente da una situazione di disagio o da un Paese povero e trapiantarlo sia in fondo il “male minore”. Per noi ciò che conta è il bene maggiore di donare una famiglia a ciascun fglio. Nel giugno 2013 la Duma, cioè il Parlamento della Federazione russa, ha approvato una legge che vieta l’adozione di bambini russi da parte di cittadini di Paesi in cui è consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso e genitori singoli. Per questo, dal primo gennaio 2013 i genitori americani sono stati banditi dall’adozione di bambini provenienti dalla Russia nell’ambito della cosiddetta legge Dima Yakovlev, varata in risposta al “Magnitsky Act” degli Usa. Su questo il presidente dell’AiBi Marco Grifni ha commentato: «La decisione non ci sorprende. […] A questo possiamo solo aggiungere che il benessere psicofsico di un bambino è vivere in una famiglia vera, con un papà e una mamma».

© http://www.lacrocequotidiano.it  - 8 marzo 2016

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