Rassegna stampa etica

Il destino della libertà

franklin d rooseveltAndrea Possieri

Nel messaggio annuale al Congresso degli Stati Uniti, il presidente della Repubblica, Franklin Delano Roosevelt, il 6 gennaio 1941, enunciò il principio delle «quattro libertà»: la libertà di parola, di religione, dal bisogno e dalla paura.
Senza dubbio, la novità più importante di quello che viene ritenuto un testo fondamentale, che avrebbe poi influenzato sia la Carta delle Nazioni Unite del 1945 che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, risiede nella proclamazione della terza libertà: la freedom from want, la libertà dal bisogno. Ovvero, la libertà intesa come capacità di «soddisfazione dei bisogni fondamentali» perché, secondo questa declinazione, «gli uomini bisognosi non sono uomini lib eri». Il 17 febbraio del 1941, a poco più di un mese di distanza dall’intervento del presidente della Repubblica statunitense, Henri Luce scrisse un memorabile articolo su «Life», con un titolo che sarebbe passato alla storia, Il secolo americano, in cui riecheggiavano alcuni dei concetti più importanti pronunciati da Roosevelt. Ma ciò che era più importante in quell’articolo, non era tanto lo svolgimento della guerra contro il nazismo, ma era il disegno futuro di una leadership mondiale degli Stati Uniti, il cui orizzonte sarebbe stato definito soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Come avrebbe dovuto essere costruito, si chiedeva Luce, questo «secolo americano»? Egli rispondeva così: «In generale le questioni che il popolo americano difende riguardano la sua determinazione di creare una società di uomini sicuri per la libertà, lo sviluppo e le crescenti soddisfazioni di ogni individuo». In altre parole: concretizzare quella «libertà dal bisogno » enunciata da Roosevelt. Emblematicamente, la conclusione vittoriosa della seconda guerra mondiale da parte degli Stati Uniti finì per sancire il «secolo americano» così come lo aveva già definito con profetica preveggenza Henry Luce nel 1941. Gli Stati Uniti, infatti, uscivano dal disastroso conflitto mondiale non solo con un territorio indenne, con la bomba atomica e un complesso militare- industriale che poteva controllare tutto il mondo, ma con una potenza economica finanziaria che sarebbe potuta arrivare in ogni angolo del pianeta, impugnando con autorevolezza la bandiera della libertà, della pace e del b enessere. Questo è uno snodo fondamentale per ogni riflessione sulla libertà nell’età contemporanea perché apre a una equazione fondamentale che spiega, forse meglio di molte teorie politiche, il successo della democrazia nel secondo dopoguerra: libertà-consumifelicità. L’American way of life incarnava, infatti, non solo il sogno americano ma un modello politico-sociale che dopo il secondo conflitto mondiale si sarebbe confrontato, in un epocale scontro di civiltà, con il mito dell’Urss. Senza dubbio, a metà Novecento, assistiamo a una nuova e inedita rivoluzione socio-culturale — la «rivoluzione dei consumi» — che, partendo dagli Stati Uniti nel periodo tra le due guerre mondiali, si è allargata all’Europa subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Naturalmente l’ascesa della società dei consumi e di nuovi stili di vita — stigmatizzati nell’espressione «il trionfo del consumismo» — furono oggetto di numerosissime critiche che avrebbero profondamente influenzato, negli anni Sessanta e Settanta, sia la cultura nordamericana che, soprattutto, quella europ ea. Tuttavia, al di là delle critiche al consumismo, la società di massa che si afferma nel secondo dopoguerra è una società fortemente caratterizzata dalla «libertà dal bisogno», dalla crescita economica e dalla ricerca del benessere individuale. È una società in cui i consumi entrano a far parte del diritto di cittadinanza, assumendo, sempre più, un significato politico — tanto da trasformare il «cittadino-consumatore » in «consumatore-cittadino» — e soprattutto assumono un forte carattere identitario, soprattutto tra i grandi agglomerati urbani dove si sono affermati e sviluppati degli enormi centri commerciali che sono anche dei luoghi di aggregazione sociale o, all’opposto, dei «non-luoghi». Oggi, ogni abitante del pianeta è in qualche modo coinvolto nel processo di globalizzazione. E una domanda sorge obbligatoria: la società dei consumi, che nel XX secolo è arrivata a dare un senso non solo al benessere ma anche alla felicità, è veramente un destino ineluttabile di questo mondo globalizzato e interdipendente? Dopo il 1989 e la fine del comunismo sono sorti, infatti, nuovi interrogativi sul modello americano della società dei consumi e «il termine “lib ertà” — ha scritto de Grazia — ha preso a significare essenzialmente la possibilità di scegliere fra diversi stili di vita quotidiani» che non sono più soltanto l’American way of life. Oggi, dopo la crisi economica del 2008, le difficoltà dell’Europa di uscire da questa stagnazione e con il baricentro del mondo che sembra spostarsi sempre più ad oriente, questo modello sociale, economico, politico e culturale viene sempre più spesso messo in discussione. Ecco che si ripropone, quindi, l’interrogativo che si colloca alla base della modernità. Che cos’è la libertà nel mondo contemporaneo? Quali responsabilità e quali limiti possiamo attribuire all’uomo di oggi? Questa è la vera sfida di oggi: il destino della libertà nella società globale. L’anelito di libertà ha attraversato la storia degli ultimi due secoli. Il desiderio e la volontà di essere liberi ha prodotto movimenti politici, ordinamenti giuridici e sistemi economici; ha modificato comportamenti, tradizioni e costumi; ha generato simboli, idee e identità culturali. Oggi, la società occidentale continua ad avere la presunzione di definirsi come una società autenticamente libera. Eppure il poderoso sviluppo economico del Novecento ha avuto un esito paradossale. Da un lato, ha indubbiamente ampliato la libertà degli esseri umani perché ha ampliato a dismisura le potenzialità di scelta dell’individuo e ha sottratto una parte dell’umanità dai millenari vincoli imposti dalla natura; dall’altro lato, però ha ingabbiato l’uomo moderno in una concezione radicalmente individualista dell’esistenza umana, finendo per renderlo prigioniero del consumismo, degli apparati tecno-economici e della volontà di affermare se stesso. Cosa significa, dunque, essere liberi? Mai come oggi di fronte ai profondi mutamenti sociali, culturali ed economici che stanno caratterizzando il mondo contemporaneo, è importante porsi questo interrogativo. Perché in fondo, come ha scritto Bauman, «la libertà è il nostro destino: una sorte che non può essere ignorata e non ci abbandona mai».

© Osservatore Romano - 17-18 ottobre 2016